martedì 20 ottobre 2009

Classici: Chi ha rubato la testa di zio Tobia?

Quando si viene convocati solennemente dal patriarca per una riunione di famiglia non si può non accettarne l'invito.
Anche, o forse proprio perché, se ne viene considerati a torto la pecora nera.
Così Peter Nabucodonosor Coffin, stimato docente universitario di storia, in visita nella magione avita di Graymere, nonché residenza del coriaceo, scorbutico e ricchissimo prozio Tobia, si ritrova coinvolto, insieme al resto del suo variegato e non del tutto rassicurante parentado, in una macabra e bizzarra caccia al tesoro la cui posta sono la testa mozzata dello zio, ucciso nottetempo, il suo testamento troppo opportunamente scomparso e ovviamente l'identità dell'assassino.
Che non è scontato sia il pazzo sfuggito alla custodia e ricercato dalla polizia che si aggira minacciosamente nei dintorni.
"The Search for My Great-Uncle's Head" rivela già in questa breve sinossi il suo intento più scoperto: quello di consapevole, ironico omaggio al mistery della Golden Age con più di un tocco di straniante follia e di romanticismo sentimentale.
Come se John Dickson Carr avesse incontrato ad un cocktail durante la stesura Groucho Marx o uno dei maestri della slapstick comedy hollywoodiana.
Il romanzo del resto pare quasi pronto per essere trasformato in film o, più verosimilmente ai giorni nostri, nell'episodio pilota di una serie televisiva, il che non sorprende vista la biografia professionale di Latimer.
Si sarebbe tentati di definirlo un postmoderno antelitteram per il gusto della citazione e del rimando, ma contrariamente a molti suoi tardi epigoni, in lui il ricorso sapiente al già letto o già visto sembra derivare più da un eccesso che ad una carenza di immaginazione e originalità.
Forse un libro imperfetto, e certo così lo giudicò il suo autore che rinunciò a scrivere la serie che aveva immaginato, ma di sicura presa e divertimento anche per gli smagati appassionati del genere di oggi.

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